Occhi di donna

 

Tutto ha inizio dalla contemplazione, uno sguardo attento e prolungato sulla realtà.

Il potere cieco del faraone è simile a quello degli idoli, che hanno occhi e non vedono. Il frutto di questo sguardo cieco è il controllo della crescita degli ebrei. Il potere cieco, corrotto e senza memoria del faraone è impegnato a perpetuare una visione ristretta e idolatra dell’esistenza. Ma le levatrici temono Dio e non obbediscono all’ordine del faraone. Obbediscono invece alla legge di Dio che è nei loro cuori. Il re esercita ciecamente il potere, spinto dalla paura. Mentre le donne, libere dal potere dispotico, non esitano a disobbedire e proteggendo la vita, pongono le basi del futuro.

Le levatrici, Sifra e Pua, hanno nomi le cui radici alludono alla luce, all’irradiazione. Pua potrebbe essere detta colei che risplende, splendida. Sifra allude all’”essere grato, gradevole, bello” e la sua radice evoca il verbo brillare. Le levatrici, che temono Dio, sono capaci di guardare dalla profondità del loro cuore.

Nella madre di Mosè e nella figlia del faraone possiamo vedere lo sguardo della schiava e quello della principessa, unite nella contemplazione della bellezza di un bambino fragile e debole, che provoca ammirazione nell’una e compassione nell’altra.

La madre avrebbe potuto vacillare per paura del potente, ma con uno sguardo prolungato e contemplativo lo ammira, pronuncia una parola, annuncia la bellezza e la speranza di salvezza e una nuova creazione. La madre trova il luogo della sua liberà nel proprio intimo, nell’amore verso il figlio e nell’esperienza contemplativa del mistero della vita che si è formata nel suo grembo, che ammira e che offre. L’atteggiamento della madre è sacerdotale. Suo figlio è lì come offerta. Non può continuare a nasconderlo. Avrebbe potuto affogarlo per non farlo uccidere spietatamente dagli Egiziani, ma non lo fa. Ha una enorme fiducia in Dio. Ripete il gesto di Noè: “salva nell’arca”. Qualcuno deve essere preservato. La donna, in uno spontaneo gesto sacerdotale, depone suo figlio, lo offre dentro una cesta al fiume. Con questo ha fatto tutto ciò che poteva fare, ora tutto è nelle mani del Dio della promessa.

La figlia del Faraone, vedendo uno schiavo salvato, avrebbe potuto indignarsi perché questo popolo oppresso aveva osato disubbidire al suo potente padre. Ciò nonostante la principessa trova, come la schiava, il luogo della libertà nel suo proprio intimo e agisce con vera sovranità.

Riconosciamo nella madre uno sguardo di offerta, bontà e bellezza davanti alla creazione; nella figlia del Faraone, uno sguardo di accoglienza e compassione davanti al bisogno e alla fragilità.

In mezzo a loro, la sorella e il suo sguardo di comunicazione. Miriam la sorella di Mosè è una ragazzina capace di guardare da lontano, ossia di vedere senza essere vista. Non tralascia di osservare nessun movimento, né di sua madre, né di ciò che succede nel fiume. Straordinaria missione quella della sorella, che “osservava”, “vigilava” da lontano sul suo fratellino. Si tratta ancora una volta del ministero fondamentale della vigilanza e della attenzione. Grazie a lei, alla sua attenzione e agilità, al suo senso di opportunità e alla sua opera di comunicazione, la figlia del Faraone conosce la realtà della povertà in stato di abbandono e la fragilità umana. Seguendo il consiglio della sorella, la principessa, senza saperlo, affida il bambino alle cure di sua madre, incaricandola di allattarlo.

Donne diverse, ma tutte con gli occhi fissi sullo stesso bambino. Tutte guardano. Non chiudono gli occhi su ciò che vedono, agiscono in libertà secondo quello che sentono in se stesse, nel profondo del loro essere. Insieme inaugurano una nuova maternità che si chiama solidarietà di fronte alla vita. Maternità che si commuove davanti al bambino povero e abbandonato, maternità di madre, maternità di sorella.

Sono queste donne, insieme a una ragazzina, che preparano lo sguardo di Mosè davanti al roveto. Senza di loro, Mosè non sarebbe esistito. Ora il fuoco di Dio purifica gli occhi di Mosè dandogli occhi di fuoco. Lo sguardo di Dio lo conduce alla visione di Dio.

(Gruppo ecumentico donne del Consiglio Mondiale delle Chiese di Ginevra 1995)