Il roveto. Un cespuglio selvatico e avvizzito al margine del deserto per noi diventa immagine di ciò che appare inaridito ed esanime, improduttivo e spregevole, precario e vulnerabile in noi stessi e nella nostra vita….. Quando Mosè vide il roveto ardente, che peraltro non si consumava, ravvisò in esso lo splendore di Dio. …Esiliato in terra straniera, dove l’ha costretto lo zelo per il suo popolo, lontano dalla sua gente, la sua vita è totalmente inaridita…. Ora Mosè può solo identificarsi con quell’arbusto spinoso. Anch’egli è al margine del deserto, ormai irrilevante, screditato, inerme, totalmente inservibile…. Il roveto può assimilarsi all’esperienza che molte persone fanno verso la metà del loro percorso di vita. Hanno la percezione di aver vanificato gran parte lo scopo della loro esistenza, di essersi come accoccolate sulle macerie della vita, al punto di sentirsi del tutto prosciugate e insignificanti… Eppure proprio in quel roveto Dio si è manifestato a Mosè con tutto il suo incandescente splendore.
Dio è una fiamma che divampa dal roveto, è ardore che purifica ma non consuma, Egli trasforma in luogo della sua presenza la desolazione e il vuoto, il fallimento e la spossatezza, ciò che è trascurato o disprezzato, ferito e lacerato in ciascuno di noi.
Ecco perché, invece che piangere e affliggerci, avviluppati nella nostra crisi di mezza età, dovremmo anche, con gli occhi di Mosè, scoprirvi la presenza di Dio. Non c’è nulla nella nostra esistenza che non abbia un senso, che non possa venir tramutato da Dio in bellezza e splendore. L’immagine del roveto ardente mi fornisce occhi nuovi: gli occhi della fede che precisamente nel vuoto e nella desolazione che mi angustiano mi fanno vedere la luce di Dio. Quando guardo la realtà con gli occhi della fede, percepisco la mia vita sotto tutt’altra luce. Ogni cosa acquista di nuovo un senso. Tutto è “bene”, anche il fallimento, anche le crisi, anche l’emarginazione. Tutto può venire trasformato da Dio. Egli vuole risplendere attraverso le mie ferite. Esattamente come ha fatto con Mosè, Dio sempre mi chiama al suo servizio, mi prende come sono, inservibile, svuotato e inaridito, e mi designa come testimone della sua luce e del suo amore.
E però, come Mosè, devo per prima cosa togliermi le scarpe. Devo assumere il timore reverente che si addice a chi capisce di trovarsi in un luogo santo… Occorre che io tocchi la terra – humus- con i miei piedi nudi e che mi rivesta di umiltà –humilitas – se voglio veder risplendere la luce di Dio in mezzo allo squallore della mia esistenza. Si rende necessaria una spiritualità “dal basso” che sappia intravedere pur nel fallimento, nel mio peccato e nella mia impotenza, la luminosità di Dio, il bagliore trasformante della sua misericordia…. “In un “luogo santo” si deve essere come realmente si è; non si ha nulla da nascondere e non c’è bisogno di occultarsi; si può essere e si può vivere come “Adamo” prima della caduta; in un “luogo santo” si è pienamente accolti” (Drewermann 386)
Siamo ancora sempre fragili, feriti e sofferernti, intimoriti e angosciati. Eppure, nel nostro roveto non cessa di rigulgere la magnificenza di Dio, il fuoco dell’amore divino che divampa ma non consuma…
La vista del roveto fiammeggiante mi fa credere nel fatto che Dio è all’opera in me, che mi lavora silenziosamente per trasformarmi, affinchè tutto, anche ciò che è debole e spregevole, esprima la sua magnificenza.nn Non si tratta qui di rimettersi in carreggiata mediante l’ascesi, o di far crescere il nostro albero rigoglioso e forte. E’ invece il momento di abbandonarsi nelle mani di Dio esattamente così come siamo. Egli è già qui, presente nel mio roveto, nella mia ferita, nella mia paura, nella mia aridità. Non ostante il mio vuoto, io già sono in Dio e Dio è in me. La vita spirituale consiste nel vedere in ogni cosa l’impronta di Dio, anche nelle mie ferite. La mia aridità e l’intima lacerazione si trasformano non appena rinuncio a lottare contro di esse, e semplicemente, così come mi trovo, mi consegno a . Da: Trasformazione di A. Grun- San Paolo- 2018